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Francesca Pecorari

Speciale

I VINI DEL CUORE

by Redazione Giugno 5, 2018
written by Redazione

Solidarietà. Un concetto astratto che assume un senso quando si colora di concretezza, di voglia di fare, di darsi una mano. Perché le fondazioni portano avanti i loro progetti così, con l’impegno, anche piccolo, di tanti. Nove produttori hanno deciso di partecipare alla nostra Festa di compleanno e portare i loro vini del cuore, il cui ricavato è stato devoluto in sostegno delle attività benefiche della Fondazione Francesca Pecorari. Ecco i nomi di chi non soltanto ha messo le bottiglie ma ha passato il pomeriggio a servire i vini ai banchi di degustazione allestiti all’interno del relais Lis Neris: Domenico Clerico e Matteo Correggia dal Piemonte; Allegrini e Monte Faustino dal Veneto; Arunda dall’Alto Adige; Livio Felluga, Venica&Venica, Villa Russiz dal Friuli; il Consorzio della Vernaccia di San Gimignano dalla Toscana. Naturalmente a partire dal nostro Fatto in paradiso, firmato da Lis Neris, azienda friulana della famiglia di Francesca. Presente anche il vino che contribuisce alla onlus Diamo un taglio alla sete, di cui abbiamo già parlato in precedenza. Un  sentito grazie alle aziende agricole Li.Re.Ste, di Merlana (Udine), per la selezione di formaggi a latte crudo di sola pezzata rossa (e da filiera corta) e D’Osvaldo, terza generazione nella produzione artigianale di prosciutti crudi (e non solo) a Cormons: particolarità, il crudo viene leggermente affumicato con legno di ciliegio e di alloro, che conferiscono un sentore fine di fumo al prodotto.

                                     

Iniziamo a conoscere alcuni dei nostri amici produttori:

Matteo Correggia. Qualità ed eccellenza senza compromessi. Anche fra le stelle. Grazie all’amico astronomo Vincenzo Zappalà. Sì, perché a Matteo, scomparso improvvisamente a 38 anni in vigna, lasciando una famiglia, è dedicato l’asteroide 1984 EQ, scoperto nel 1984  in Arizona. Famiglia che oggi continua con grandi risultati il suo lavoro, senza tradirne l’anima. Siamo nel Cuneese, sulle colline del Roero. A Canale. E Matteo di queste terre è stato un grande protagonista, il primo a credere nel territorio e in una denominazione e, importando la qualità francese, a tracciare un solco oggi seguito da molti. Matteo intuitivo, visionario, rivoluzionario. Uno che nella metà anni ‘80 ereditando l’azienda agricola decide di coltivare vigne e produrre vino dove fino ad allora si erano coltivate frutta e verdura. Investe su Nebbiolo, Barbera, Arneis e Brachetto. Matteo pioniere dei cru nel 1987. Matteo che nel suo lavoro ci credeva e lo viveva come un dono. Le etichette sono opera di un recente restyling dell’artista uruguaiano Coco Cano. Racconta Ornella Costa: “Coco Cano ha conosciuto mio marito prima di me. Ha disegnato le etichette dei suoi primi vini, una sintonia immediata. Quando gli ha proposto  il disegno delle colline con un sole, colline che nella loro estensione gli ricordavano il mare che lo divideva dall’Uruguay, il progetto è subito diventato il nostro logo aziendale”. Degustiamo il Nebbiolo in purezza Matteo Correggia, dalla vigna più vecchia. Un vino che ha seguito un affinamento molto innovativo per quanto riguarda il materiale utilizzato. “Ceramica al 100%, motivo per cui non potremo utilizzare la denominazione Roero e lo chiameremo Vino Rosso, ma il progetto va oltre la denominazione”, spiega. “È mio figlio che ha scelto questo affinamento così innovativo, come innovativo era mio marito”. Il vino del cuore si chiama Per papà. Sì, il papà di Giovanni e di Brigitta.

                          

Domenico Clerico. Vignaiolo appassionato, ci ha lasciati l’anno scorso, a luglio. La moglie Giuliana Viberti condivide con noi Percristina, il Barolo da cru Mosconi, di Monforte d’Alba, dedicato alla figlia scomparsa all’età di sette anni. Come dice Giuliana, il vino dei ricordi, la cui prima annata risale al 1995: “Non posso sprecare tutto, abbiamo creato l’azienda insieme, in quarant’anni. Continuare è il mio modo di essere, oltre che un sentimento”. Siamo nel cuore delle Langhe, tra gente autentica che non si risparmia nel lavoro. Domenico è stato un innovatore, un personaggio-persona la cui mancanza è molto sentita sul territorio, sicuramente uno dei più grandi produttori di Barolo. Sul vino aveva scommesso tutto, tralasciando le colture ortofrutticole subito quando eredita l’azienda di famiglia. Domenico opera una cesura importante col passato: abbandona la pratica familiare di conferimento di uve alla cantina sociale e inizia a vinificarle in proprio. Chiara la decisione di puntare sulla qualità estrema, valorizzando al massimo quello che il territorio generosamente offriva. Degustiamo anche il Barolo Ciabot Mentin Ginestra, un cru della zona di Monforte, di un terreno a 500 metri s.l.m., molto argilloso. “È un’azienda che abbiamo acquistato nel 2001, la prima, sempre senza soldi, non ne avevamo. È una zona che merita molto: un anfiteatro naturale”. E continua: “Domenico è un ricordo che mi aiuta ad andare avanti. Non era enologo ma faceva lui i vini grazie a tanta esperienza, voglia di conoscere e sperimentare. E con tanto amore”. Oggi sono 21 ettari in alcune delle migliori sottozone di Monforte d’Alba e Serralunga d’Alba. Domenico credeva fortemente che il vino fosse il territorio a farlo. Grandi Uomini. Uomini per cui una stretta di mano aveva ancora un significato.

                          

Consorzio della Vernaccia di San Gimignano. Uno dei pochi bianchi toscani in una terra di grandi rossi e prima doc italiana (6 maggio 1966). Centodieci soci, ottocento ettari, presidente e produttrice vinicola Letizia Cesani, presente con la sua Vernaccia, perfetta sotto il profilo gusto-olfattivo e premiata con i Tre Bicchieri del Gambero Rosso. Tra gli obiettivi del consorzio tutelare l’identità della Vernaccia e al tempo stesso riqualificarne l’immagine svecchiandola. Il vino del cuore è la Vernaccia 40, creata in occasione del suo quarantesimo anniversario e dedicata a Francesca Pecorari. Una decina le aziende del consorzio presenti. Filo conduttore è la capacità di essere un vino sotto traccia, mai urlato, un vino che sa stare a tavola accompagnandola senza disturbare, che si racconta e che va ascoltato, con un buon potenziale di invecchiamento. Col tempo acquisisce note minerali e di pietra focaia caratterizzanti.

(In foto sotto, il nostro vino della solidarietà “Fatto in paradiso”. Qui nel sito le modalità per acquistarlo)

Giugno 5, 2018 0 comments
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Speciale

A LEZIONE DI TERRITORIO CON ALVARO PECORARI

by Redazione Maggio 28, 2018
written by Redazione

Nel corso del nostro racconto non possiamo non parlare del Friuli Venezia Giulia, dei luoghi in cui Francesca è nata e cresciuta. E lo facciamo con una lezione approfondita sul territorio del suo papà, Alvaro. Quella di Francesca è una famiglia di viticoltori a San Lorenzo Isontino, nel Goriziano, nell’ ultimo tratto orientale della pianura friulana. Ma non siamo qui per parlare dell’azienda e dei suoi grandi vini. Siamo qui per condividere, almeno ci proviamo, uno spaccato storico fondamentale dell’Italia, cercando di comunicare valori e pezzi di vita che per noi sono autentici. E lo facciamo raccontando il territorio in cui ci muoviamo e in cui oggi ha sede la Fondazione Francesca Pecorari. Quella di Francesca è stata un’ adolescenza improntata su pochi ma solidi concetti: studio, lavoro in azienda, rimboccarsi le maniche per prepararsi un futuro. E poi gli amici, un piccolo gruppo musicale, il desiderio di viaggiare per conoscere, per capire il mondo vivendo altre culture. Sempre con la schiena dritta e con il sorriso. Un futuro che ha preso inaspettatamente e in maniera fulminea una piega diversa. Francesca aveva solo vent’anni. Il viaggio avrebbe dovuto essere un altro. Proprio per questo la solidarietà non è un valore astratto o un gioco per noi: dietro ci sono delle persone, dei sogni da realizzare, nel nostro caso sono i progetti educativi che riguardano i bambini delle zone più disagiate, ci sono delle attese che non devono essere disattese. Quindi, quel volo proviamo a farlo lo stesso. Anche con un’ala mozzata. È il volo della fenice. E da questi valori ci è impossibile prescindere.

Alvaro Pecorari racconta la sua terra, intrecciando vino e storia in un binomio inscindibile, ai produttori che hanno partecipato alla festa di compleanno di Francesca con i vini del cuore. Un gesto di gratitudine verso chi ha contribuito con impegno fattivo alla solidarietà. E lo fa dal monte San Michele, un suggestivo rilievo carsico in provincia di Gorizia, teatro di numerose battaglie durante la Grande Guerra, quando il Friuli si trovava diviso tra Regno d’Italia (provincia di Udine) e Austria-Ungheria (Contea di Gorizia e Gradisca). Un luogo disseminato di trincee, camminamenti, caverne. Dove si è fatta la storia dell’Italia…

“Sembra che abbiamo fatto tanta strada in auto, ma in realtà siamo a quattro chilometri dal paese col campanile veneziano che vediamo in lontananza ed è lì, sotto il campanile, che noi abbiamo l’azienda. A San Lorenzo Isontino. Il giro è più lungo perché lunga è la strada. È un angolo di osservazione privilegiato, questo. Quando si pensa a una zona viticola si crede che per vederla tutta sia necessario muoversi di parecchi chilometri. Ebbene, da qui, da questa terrazza panoramica sul monte San Michele, vediamo l’orizzonte, tutto il Friuli orientale. Sulla destra sorge la città di Gorizia, quella che un tempo era chiamata Nizza asburgica, bagnata dal fiume Isonzo: la parte che guarda versi di noi è la Gorizia italiana, quella sotto il monte è la Nova Gorica, ossia la città slovena, che oggi è più grande di quella italiana. Gorizia si affaccia sulla pianura isontina ed è un punto nevralgico fra mondo latino, slavo, germanico. Sulle sue alture, ad Oslavia, si trova l’imponente ossario con le spoglie dei soldati italiani e austro-ungarici caduti nella Grande Guerra. Ecco, su questo asse in direzione est, fino al monte innevato davanti a noi, scorre per un’ottantina di chilometri il confine orientale Italia-Slovenia. Il Monte Nero, che sorge a Caporetto, a pochi chilometri dal confine con il Friuli Venezia Giulia, domina quasi tutta la vallata del medio Isonzo: lassù in cima a monti, a oltre 2000 metri, persistono nevai estivi, caratteristico è il Lavador (lavatoio) innevato. Il Canin, sul cui lato nord sono presenti tre piccoli ghiacciai, è l’ultima montagna delle Alpi Giulie in terra italiana ed è la cima più alta (2587 m s.l.m.), oltre che una delle zone più nevose delle Alpi. Nel suo altopiano calcareo, oggi interessato da episodi di carsismo, possiamo trovare grotte abissali, di oltre mille metri di profondità. Là in alto, a sinistra, si intravede una sagoma scura: sono gli aspri massicci rocciosi delle Alpi Carniche, le più antiche dell’arco alpino, che segnano il confine con l’Austria. Quando con lo sguardo arriviamo nella vallata, avvolta dalla nebbia, immaginiamo la pianura friulana che guarda verso il Veneto. Se la vista fosse bella avremmo una veduta sulle montagne alle spalle di Pordenone. Ai piedi delle Prealpi Carniche incontriamo la base aerea Nato di Aviano: da qui a Gorizia lo sviluppo è di 150 chilometri. Questo è tutto l’ angolo orientale del Friuli, un asse che prima corre da sud verso nord come confine sloveno e poi da est verso ovest come confine austriaco.  Una panoramica che è fondamentale per capire la posizione di una regione incastrata in mezzo a diverse situazioni storiche: da una parte i popoli slavi, dall’ altra quelli germanici. Da questa i popoli latini. La posizione geografica è rimasta la centralità storica del nostro territorio. 

Non resta che chiedersi cosa possa essere successo da un punto di vista geologico. Quaranta milioni di anni fa qui c’ era il mare. Quando si è ritirato sono emersi i fondali marini. Che oggi sono tutte colline, dolci colline che si rincorrono senza soluzione di continuità. Le prime dietro il paese di San Lorenzo Isontino, molto boschive, sono italiane, dietro c’è il Brda sloveno. I due terzi di quest’area denominata Collio si trovano in Slovenia, così come tutti quei paesini che si arrampicano là in alto, a un chilometro in linea d’aria. È il mare il grande protagonista invisibile che ha creato un paesaggio di colline con terreni di sabbie compresse, marne calcaree e arenarie stratificate di origine eocenica, ricche di sali. Le arenarie sono le rocce più dure utilizzate come pietra da costruzione fino a cent’ anni fa. A est di questa zona di collina, al confine con la Slovenia, si estende l’altopiano Carsico, che significa terra rossa, arida, sassosa, ricca di calcare e ferro. Il triangolo Gorizia-Cormons-Gradisca racchiude invece l’ area che ha questa conformazione pianeggiante, un’ area che si è formata quarantamila anni fa con le ultime glaciazioni del periodo quaternario: il ghiacciaio dell’Isonzo scendeva dal punto in cui si incontrano oggi i tre confini Austria-Slovenia-Italia fino all’ altezza di Gorizia, qui ha finito di attraversare la zona montana e si è trovato di fronte un terreno di origine marina facilmente perforabile, per cui ha girato il senso di attività: non più nord-sud ma est-ovest. Man mano che avanzava si allargava, a un certo punto era più largo che lungo e non aveva più forza per spingere: così è finita l’ azione del ghiacciaio dell’ Isonzo. Si sono formati terreni di origine glaciale: le acque di scioglimento hanno trasportato dalla montagna rocce che hanno riempito il fosso che il ghiacciaio aveva scavato. Il nostro vigneto non porta la denominazione Collio ma  Friuli Isonzo proprio perché si trova su questi plateau. Sotto i nostri piedi abbiamo un materasso ghiaioso di circa 40 metri di spessore. Ma a Gorizia raggiunge i 100 metri. Il plateau ha tre quote rispetto al livello del mare: 110 metri a Gorizia, 60 a San Lorenzo Isontino, 24 a ridosso del fiume. Ne risultano vini molto personali, sicuramente unici. Questa zona è un po’ meridionale perché Gorizia cade esattamente sul 46° parallelo, una situazione ideale per i vini rossi: la parte settentrionale della Valpolicella, le Langhe, la Valle del Rodano, Bordeaux sono tutte su questo parallelo. Sono aree con una propensione naturale per vini di struttura e di corpo. Una domanda sorge a questo punto spontanea: perché allora qui produciamo vini bianchi, o meglio la zona ne è particolarmente vocata? Facciamo cento metri verso sud, sulla montagna, e da un altro belvedere strategico ve lo spiego.  Tutto questo attraversando a piedi dei percorsi di cannoni, a 240 m s.l.m.: erano quelli austriaci, perché l’ Austria è arrivata nel 1495 e se ne è andata nel 1918. Sono terre austriache le nostre, mia nonna era austriaca all’ anagrafe e il mio bisnonno ha combattuto nell’ esercito austriaco durante la Grande Guerra. Questi cannoni uscivano dalla montagna e difendevano Gorizia dai soldati italiani che volevano conquistarla. Per tre anni la guerra si è combattuta qui sotto, causando 111mila morti italiani, senza contare quelli austriaci e ungheresi. La nostra storia è sempre stata condizionata dalla posizione geografica: alla testata settentrionale del mar Adriatico e alla porta d’ ingresso da Oriente per l’ Italia. Il San Michele, nel cuore del Carso isontino, è un monte importante, oltre che suggestivo, proprio perché fulcro degli eventi bellici. Quest’anno si festeggia il centenario della fine della guerra. Peccato, e sono un po’ critico, abbiano abbellito la zona per i politici in visita senza concentrarsi sull’ obiettivo vero: portare qui le scolaresche, perché questo è un museo a cielo aperto in cui si è fatta la storia. Anche se oggi è frequentato più da ungheresi e austriaci che da italiani.                                      

La parte orientale del Friuli si è distinta per i vini bianchi grazie allo scontro climatico continentale-alpino e mediterraneo.  Scontro che provoca movimenti di masse d’ aria. La Valle del Vipacco è la porta dei venti dominanti di origine balcanica, come la Bora, che soffia da nord-est e abbatte l’umidità atmosferica, facilitando un microclima ideale per la completa maturazione delle uve. In particolare, diventa cruciale nella fase centrale di maturazione, nel periodo di luglio, agosto e settembre. La Bora riesce a creare quell’ effetto dello sbalzo termico che tende ad abbassare le temperature di notte e a favorire maturazioni lente, dove la parte aromatica dell’uva si esalta. È qui che comincia il gioco dei bianchi. La realtà dei nostri vini è molto condizionata dalla presenza di venti di origine balcanica che favoriscono lo sbalzo termico. Al tempo stesso siamo protetti dalle perturbazioni atlantiche dalla barriera delle Alpi Giulie. L’ aroma si esprime meglio proprio grazie al rallentamento della maturazione e dalla buccia si trasferisce nella polpa e nel vino: non serve essere in Alto Adige per poter estrarre aromi e neanche sull’ Etna, dove riescono a dar vita a vini aromatici grazie a differenze di temperature fra giorno e notte anche di 25 gradi. È il gioco della natura che ci favorisce. C’ è una sola regione in Italia che ha una posizione più cruciale della nostra: la Sicilia. Ma noi siamo subito secondi perché qui sono passate tutte le più grandi civiltà del passato: Roma ha messo lì Aquileia, che non esisteva, alla testa del Mar Adriatico, per favorire i trasporti via mare delle legioni: i legionari sbarcavano e per la loro politica di espansione territoriale ripartivano usando la Valle del Vipacco come strada verso nord-est. Aquileia nel I secolo d.C. era seconda solo a Roma per numero di abitanti. In questo modo è arrivata in Friuli una cultura alimentare di tipo mediterraneo: olio, grano e vino. I primi vigneti sono nati sul litorale, dove oggi sono in mano a cantine sociali che puntano a produrre Prosecco e Pinot Grigio a duecento quintali per ettaro, facendo quindi un altro tipo di vino dal nostro. Quella è una zona che sta soffrendo di mancanza di identità, però vi si possono fare grandi rossi perché, quanto a suolo e clima, ci sono condizioni molto simili alla riva destra di Bordeaux, artefice dei miracoli negli anni ’90 con Pomerol e Saint-Emilion. Dopo Roma, sul territorio ha avuto una fase breve ma importante la Serenissima, che ha preso il Friuli come baluardo difensivo degli interessi commerciali del Nord dell’ Adriatico, favorendo nel 1400 l’insorgere di città-fortezza il cui perno era Palmanova. Anche Gradisca era una fortezza ed è stata incendiata dai turchi per tre volte in cinquant’ anni, perché l’ Impero Ottomano contrastava la Repubblica di Venezia per il predominio del Mediterraneo orientale. I turchi risalivano la Dalmazia usando la Valle del Vipacco per entrare. Venezia ha avuto un ruolo di spicco sul vino: sono arrivati vitigni anche dalla Grecia, dal Peloponneso: pensiamo alle Malvasie, che sono più presenti in Istria, ma soprattutto alla Rebula, ossia la Ribolla, che ha trovato un terreno molto fertile non in Italia ma sulle colline del Brda sloveno. Oggi il 60% del vigneto sloveno è costituito dalla Ribolla, un vitigno che proviene da terreni rocciosi, ha bisogno di tanto caldo, eppure non riesce a fare gradazione alcolica e mantiene acidità elevatissime. La Ribolla vive bene sulla roccia e deve stare sotto il sole tutto il giorno, senza acqua, per questo le colline più alte del Brda sloveno sono ideali.

Nel 1495 il patriarcato di Aquileia concede alla famiglia degli Asburgo il controllo della contea di Gorizia e di Gradisca. Gli Asburgo sono arrivati e hanno capito subito che questo era un punto cruciale per l’ Impero. Cospicui investimenti sul territorio ne sono stati la conseguenza logica. È nato il porto di Trieste, che dopo l’ apertura del Canale di Suez è diventato il sesto porto mondiale per movimento di traffici verso nord. In quegli anni è stata costruita anche la prima grande ferrovia europea, la transalpina, che congiunge Trieste a Vienna. E si coltivava frutta in grandi quantità: questa zona era il giardino dell’ Impero. Alla fine del 1800 l’ Austria ha investito nel vino e sono arrivati sauvignon blanc, chardonnay, merlot e cabernet, più tardi anche il pinot grigio. Abbiamo un’ eredità austriaca importante. I nostri vitigni, se tralasciamo gli autoctoni, sono qui da 130 anni e ormai si sono acclimatati al punto che non trovo corretto chiamarli internazionali. La nostra non è una viticoltura latina, perché il vino non porta il nome del territorio, come il Barolo, il Chianti, il Valpolicella. Noi apparteniamo a un mondo germanico: è l’ uva che dà il nome al vino. Purtroppo questa regione è ancora un po’ sottovalutata. Con la Grande Guerra siamo passati dall’ essere il meridione di un impero florido al settentrione di un regno povero, ed è già un duro colpo. La Seconda guerra mondiale ha creato una regione cuscinetto tra un’ area orientale dove comandava il blocco russo e un’ area occidentale dove comandavano americani, inglesi e francesi. Per tanti anni siamo stati abbandonati qui con la nostra storia. Nessuna terra è stata soggetta attraverso i millenni della civiltà a vicende tanto varie e a prove tanto atroci. E questo ci ha forgiato il carattere”.

 

 

 

 

 

 

Maggio 28, 2018 0 comments
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Festa di Compleanno

FRATEL DARIO E LE SUE PICCOLE GRANDI MAGIE

by Redazione Maggio 21, 2018
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Questa che vi stiamo per raccontare è una bellissima storia, di un rabdomante. Per molti di noi la rabdomanzia è qualcosa di magico, misterioso, sicuramente affascinante. È la storia di fratel Dario e del suo impegno umanitario in Africa. Fratel Dario è un missionario comboniano laico originario delle valli del Natisone, nella parte più orientale del Friuli Venezia Giulia. E proprio lui è fonte di ispirazione di una piccola ma molto sentita iniziativa di solidarietà dal nome ‘Diamo un taglio alla sete’. A presentarcela, la nipote, Anna Laurencig, intervenuta alla nostra festa di compleanno sabato 5 maggio, occasione per fare il punto della situazione delle iniziative umanitarie della Fondazione Francesca Pecorari nel mondo. Ci sembrava il contesto adeguato per farla conoscere a tutti gli amici presenti, un modo per confrontarsi anche con altre realtà di solidarietà con obiettivi condivisi. Quelli di fratel Dario sono progetti educativi e idrici, perché c’è una relazione inscindibile fra l’acqua e la scuola in Africa: senza acqua non c’è vita e senza istruzione non c’è futuro. Fratel Dario con una bacchetta cerca l’acqua e la trova. “Laggiù lo chiamano lo stregone”, dice Anna Laurencig. Lui ha lo straordinario dono di trovare l’acqua nel deserto e in quasi 40 anni di onorata attività ha costruito pozzi, quasi 400, scuole e cucine per le scuole, dormitori, ambulatori, dispensari, un centro per bambini disabili, chiese e molto altro. Perché, e questo è il punto fondamentale del suo pensiero e del suo operato, bisogna sostenere l’Africa a salvarsi da sola, al di fuori di logiche assistenziali occasionali che servono a tamponare momentaneamente, ma non a risollevare situazioni di criticità importanti, forse solo qualche coscienza. Siamo in un continente in cui milioni di persone non hanno accesso all’acqua potabile e al cibo, il tasso di mortalità per aids, colera e malaria è elevatissimo, in cui una minima parte di bambini ha accesso all’istruzione e la vita media, come in Turkana, è inferiore a 40 anni. Stiamo parlando di paesi in cui ancora si muore per una semplice infezione. E in cui le armi prodotte dalle nostre industrie ci rendono colpevoli di stermini abominevoli. “Non è scaricando 100 sacchi di farina in un villaggio e andandosene che si aiuta l’Africa nel modo giusto, né mettendo nelle mani di una famiglia 100 dollari. Ma solo se facciamo sì che loro diventino dei polittici onesti, degli abili ingegneri, dei medici competenti l’Africa diventerà pian piano indipendente. Ecco il motivo per cui sono importanti i progetti educativi e idrici”, spiega Anna Laurencig. Con la sua bacchetta fratel Dario compie il miracolo: fa sgorgare l’acqua, il suo corpo riesce a percepirne l’energia e le vibrazioni in profondità.

               

ANNA LAURENCIG vive a San Pietro al Natisone, al confine con la Slovenia ed insegna in un centro di Formazione Professionale. Nel 2006 realizza il sogno di raggiungere lo zio Dario in una regione desertica nel nord-ovest del Kenya, il Turkana, una delle più povere e remote, al confine con Sud Sudan ed Uganda. Una storia antichissima quella della regione, almeno datata 3,3 milioni di anni fa, tanto da spingere gli scienziati, per via di alcuni ritrovamenti, ad anticipare di 800mila anni la data in cui si ritiene che la nostra specie abbia iniziato a utilizzare gli utensili. Proprio qui, nella Missione di Lokichar, Anna segue come educatrice i bambini del centro disabili e affianca lo zio nella ricerca dell’acqua in zone desertiche. “Dopo un’osservazione attenta delle caratteristiche di un territorio, lui individua il punto dove si trova l’acqua e il rametto nelle sue mani si mette a girare da solo. L’intensità del movimento e l’esperienza gli consentono di capire dove si trovi esattamente l’acqua, a che profondità, nonché la sua quantità e qualità. Ho visto con i miei occhi, alla profondità indicata da lui, dopo ore di getti di polvere, fumo e sabbia spinti fuori dal compressore, l’acqua sgorgare come se fosse un miracolo”. E continua: “Prima di partire non avevo ami visto un rabdomante in azione, pensavo che mio zio avesse qualche marchingegno elettronico. Lui è molto importante per le popolazioni del luogo: riesce a far funzionare tutto e costruisce le cose col fine di durare nel tempo. I pozzi che ha realizzato negli anni ‘70 sono ancora lì e sono funzionanti”. Conclude: “Quando ho mostrato le foto del Turkana a un gruppo di amici se ne sono innamorati e hanno deciso di realizzare un calendario per sostenere la costruzione dei pozzi. Da qui si è pensato di fare qualcosa in più ed è nato il vino della solidarietà. Tutto quello che serve, come capsule, bottiglie, etichette, scatole per confezionarlo, è donato, a partire dal vino che è offerto da 15 cantine. Nel 2006 abbiamo raccolto 350mila euro con una gara di solidarietà che ancora oggi riunisce tantissimi amici.

  

DIAMO UN TAGLIO ALLA SETE è il titolo di un’iniziativa nata nel 2007 per opera di un gruppo di enologi usciti nel 1994 dall’ istituto agrario di Cividale del Friuli. Un gruppo di professionisti e amici, che ha come direttore d’orchestra Paolo Comelli, che dopo aver frequentato il corso di studi quinquennale si ritrova nell’anno di specializzazione, ovvero la sesta. Da qui il nome ‘Fuori di sesta’ dato al gruppo, goliardico ma che riesce a confrontarsi con problemi seri come quello della sete in Africa. Il vino si chiama Vitae, o meglio i due vini, un rosso e un bianco, il cui ricavato serve per perforare un pozzo in Africa: Turkana, o prossimamente, Sud Sudan. Per un pozzo occorrono dai 7 ai 10mila euro, dipende da vari fattori, fra cui la profondità, le caratteristiche della terra. Vitae in latino significa ‘della vita’, ma si pronuncia ‘vite’ come la pianta dell’uva. Con il primo vino imbottigliato il 14 aprile 2007, un tocai 2006, fratel Dario ha realizzato in Turkana il primo pozzo. Diamo un taglio alla sete è un taglio, o meglio un assemblaggio: ogni anno, alcune settimane prima dell’ imbottigliamento, ognuno dei 15 enologi fa assaggiare ai colleghi dei campioni di vino di propria produzione. Degustazione, valutazione e scelta avvengono mescolando piccole quantità dei campioni prescelti per dare un assaggio dell’assemblaggio finale. Dal 2007 al 2013 sono state confezionate quasi 15mila bottiglie da 0,75 litri e oltre duemila magnum da 1,5 litri.  Il dodicesimo vino è stato imbottigliato da poco. Una sorta di miracolo di Cana all’inverso: non trasformare l’acqua in vino ma il vino in acqua per chi ne ha bisogno. Chapeau!

Maggio 21, 2018 0 comments
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Festa di Compleanno

NEW HUMANITY E IL MYANMAR

by Redazione Maggio 16, 2018
written by Redazione

Alla festa di compleanno non poteva mancare New Humanity, altro tassello importante per l’ attività umanitaria della nostra Fondazione. Prima di fare il punto della situazione dei progetti in Myanmar, ex colonia britannica dell’Asia sud-orientale governata per cinquant’anni da un regime militare oscurantista che ha colpito pesantemente i diritti umani, ricordiamo che New Humanity è l’associazione di volontariato e di solidarietà internazionale senza scopo di lucro nata nel 1992 da una costola del Pime (Pontificio istituto missioni estere) per sostenere progetti di sviluppo a favore dei più deboli in Asia, in particolare in Cambogia e dal 2002 in Myanmar, sede storica dei padri del Pime. Vari i campi di azione: disabilità, educazione, sviluppo agricolo. Una lunga collaborazione che ci ha portati, come nel caso della comunità di Sant’ Egidio in Africa, a risultati tangibili. Il ricordo di Alvaro Pecorari, papà di Francesca, è per un amico, fratel Fabio Mussi, missionario laico del Pime di Milano che ha sempre creduto nella lotta al terrorismo attraverso l’istruzione e nella promozione dell’ educazione come strumento per garantire dignità ai diritti dell’uomo e sconfiggere la povertà. Mussi promuove la costruzione di scuole in territori difficili, dove spesso viene meno la fiducia reciproca tra i diversi gruppi etnico-religiosi.

                                                             

MYANMAR E NEW HUMANITY. Economicamente il Myanmar nel 2016 è ancora uno dei paesi più poveri e meno sviluppati e secondo molte organizzazioni, come Amnesty International, ha poca considerazione dei diritti dell’uomo. Dal 2010 si assiste a un’ apertura che ha portato a una vittoria delle forze democratiche, incentivando un primo sviluppo sia in termini di libertà individuali sia in termini economici, ma la questione annosa resta quella delle minoranze etniche, crocevia di tradizioni e culture che hanno plasmato il paese. Si contano circa 130 gruppi etnici, un vero caleidoscopio umano di lingue. Dall’ indipendenza del 1948 tre quarti del Paese (più o meno 30 milioni di abitanti) è costituito dall’ etnia birmana Bamar, mentre il restante 30% si compone di numerose minoranze etniche, linguistiche, religiose con cui nel corso della storia ci sono stati contrasti fortissimi, vere e proprie guerre civili. Nel lungo cammino verso la democrazia il ruolo dell’ esercito (con il suo punto di vista nazionalista e repressivo delle minoranze) si fa ancora sentire per via della costituzione che quel ruolo glielo riconosce. Per quanto riguarda il nostro impegno come onlus in Myanmar facciamo il punto della situazione con Francesca Benigno, intervenuta alla Festa di compleanno in rappresentanza di New Humanity: “Siamo entrati in Myanmar nel 2002 raccogliendo l’eredità dei missionari del Pime, forti di un’ esperienza di centocinquant’ anni. La Fondazione Francesca Pecorari ci è stata vicino dall’ inizio, già nel 2005 è terminata la costruzione della prima scuola insieme, raccogliendo la sfida in un settore difficile e prioritario come quello dell’educazione, completamente smantellato dalla dittatura militare salita al potere col colpo di Stato del 1962. Pochissimi gli investimenti nel settore, da qui la decisione, insieme alla Fondazione, di iniziare a costruire scuole che venissero successivamente affidate alla gestione del governo e della comunità locale. Nel corso degli anni abbiamo costruito altre quattro scuole primarie, dando la possibilità di studiare a cinquecento studenti”. Sono stati anni di instabilità, di tensioni, anni in cui la Fondazione Francesca Pecorari non è mai persa d’ animo. Nel 2015 qualcosa di nuovo succede: le prime elezioni democratiche dal 1990. Cambia il governo e assistiamo a una certa apertura al mondo. Ma nonostante gli investimenti nell’ educazione siano triplicati non sono ancora rose e fiori. Continua: “Il tasso di abbandono nelle scuole primarie è del 15%, dati Unicef che salgono nelle zone rurali. Un bambino su due, finito il ciclo di istruzione primaria, non si iscrive agli studi secondari, in quanto l’obbligo scolastico è previsto fino a dieci anni di età. Nel 2016 è partita un’ altra sfida: investire negli asili e quindi nell’ educazione prescolare. Per tre motivi. Primo, perché è un’ età fondamentale per lo sviluppo caratteriale del bambino. Secondo, perché nelle aree rurali in cui operiamo vivono principalmente minoranze etniche che hanno altri usi altri costumi e un’altra lingua rispetto a quella ufficiale adottata nelle scuole: il birmano. Questo comporta per i giovani studenti difficoltà notevoli di inserimento. Lavorare negli asili ci permette di insegnare ai bambini il birmano. Ultimo, ma non meno importante, motivo è che possiamo lavorare con le famiglie  e fargli capire l’ importanza dell’ educazione e il suo ruolo formante. Se i bambini si inseriscono bene nella scuola primaria il tasso di abbandono diminuisce. Alla Fondazione abbiamo proposto di affiancarci in questo progetto, in particolare nella costruzione di due asili nei villaggi di Naung Choo e Naung Leng. Costruzione che è iniziata nel 2016 e si è conclusa nel 2017. Attualmente i due asili sono frequentati da cinquanta bambini. Come onlus siamo ancora in una fase di accompagnamento e formazione continua degli insegnanti. Poi li affideremo alla comunità locale”.

New Humanity ha iniziato la sua attività in Cambogia, nel 1992, l’ anno dopo l’arrivo dei padri del Pime nel Paese, dando un contributo significativo al rilancio degli studi universitari di Scienze sociali. Attività che si è allargata all’educazione prescolare. Successivamente l’arrivo in Myanmar nelle province di Yangon, Taunggyi e Kyaing Tong. Nella capitale Yangon l’associazione collabora con vari enti statali, privati, scuole buddiste e istituzioni cristiane. Il suo percorso in Cambogia si è concluso dopo 24 anni, con la consapevolezza di aver creato legami profondi con la chiesa locale e con le organizzazioni che oggi le hanno permesso di uscire di scena serenamente, ricordando che il fine ultimo della cooperazione è “aiutare i poveri perché non abbiano più bisogno di noi”. Aiutarli ad essere indipendenti. Questo il senso.

Disarmo, sviluppo, cooperazione, solidarietà internazionale in un’ottica di reciprocità sono alla base della spiritualità e dei rapporti internazionali. Ci piace concludere con lo spirito di fratellanza universale così come è proclamato nella Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo: “Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza”. Peccato che troppo spesso ce lo dimentichiamo.

 

Maggio 16, 2018 0 comments
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Festa di Compleanno

COMUNITÀ DI SANT’ EGIDIO, UN LUNGO PERCORSO INSIEME

by Redazione Maggio 9, 2018
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“Parliamo di una realtà che non ha bisogno di presentazioni perché in un modo o nell’ altro sappiamo quello che sta portando avanti con serietà e impegno anche qui in Italia. Per noi la Comunità di Sant’ Egidio significa Africa. Il nostro primo contatto con il direttivo non riguarda la Onlus ma un progetto che ha saputo legare la Comunità alle aziende italiane produttrici di vino che avevano voglia di fare qualcosa in più per la lotta all’Aids in Mozambico. Il progetto era Wine for Life, i vini di qualità a sostegno di Dream, il più efficace programma per la prevenzione e la cura dell’ Aids  in 10 Paesi dell’ Africa subsahariana. In quell’ occasione abbiamo conosciuto uno dei relatori della nostra Festa di Compleanno, Rinaldo Piazzoni”. Federica Pecorari, sorella di Francesca, presenta  così chi oggi è un punto di riferimento fondamentale di Sant’ Egidio, ribattezzata da Papa Francesco la Comunità delle ‘3 P’: Preghiera, Poveri e Pace. Rinaldo Piazzoni era ancora studente quando è entrato: l’ha vista nascere, crescere e, con una cultura invidiabile, la porta avanti nel mondo. Nelle sue parole si legge un affetto che fa la differenza. Lui è come dovrebbero essere tutte le persone che operano nel mondo del volontariato: infonde sicurezza, fiducia, coraggio, insomma una persona perbene. Ma non per piaggeria o circostanza. Lo percepisci credibile in quello che dice, in quello che fa. Il bene della Comunità non è improvvisato, impulsivo, ma è un bene ragionato, costruttivo, concreto.

FONDAZIONE FRANCESCA PECORARI E COMUNITÀ DI SANT’ EGIDIO 

La conoscenza con la Fondazione è iniziata in un secondo momento, per la precisione quando la Onlus ha trovato più difficoltà a portare avanti le iniziative in Myanmar a causa del difficile clima politico. È allora che si è rivolta a un’altra parte di mondo, l’Uganda, da dove oggi arrivano buone notizie grazie proprio a Sant’Egidio. “Siamo presenti in 70 Paesi del mondo, 27 di questi sono in Africa e quasi la metà (40%) dei membri della nostra Comunità è africana. Un precisazione importante per dire che siamo molto legati a questo continente”, esordisce Rinaldo Piazzoni. “Noi pensiamo che 50 anni siano solo un inizio, non vogliamo concentrare un passato ma pensare al futuro”. E continua: “Lavoriamo con tutti i poveri che incontriamo, siano bambini, anziani, malati, persone affette da Aids, carcerati, immigrati, rifugiati…  Crediamo che nei poveri ci sia Gesù, ce lo dice il Vangelo. Quindi lavoriamo per la pace, il più grande bene dell’ Umanità. Sono del ’49, un giovane anziano. La mia è la prima generazione cresciuta nella pace. E questo è un grande dono. La guerra è la madre di tutte le povertà”. A proposito della Fondazione racconta: “Con Alvaro ci conosciamo dal 2003. Il primo incontro risale al Vinitaly. Mi ha raccontato di Francesca, mi ha mostrato l’ etichetta della bottiglia di Fatto in Paradiso. Tutto è partito da Wine for Life, che significa l’ aver salvato quasi un milione di persone, di cui più di centomila bambini, dall’ Aids. Un mondo del vino che si è dimostrato molto sensibile e attento. L’ idea di fare qualcosa insieme per l’Africa  a livello di educazione scolastica risale al 2008, all’ Uganda in particolare. Premetto che le comunità di Sant’ Egidio sono tutte locali e autonome. Proprio ad Adjumani, nella parte ovest del Nilo, c’era un piccolo gruppo di ragazzi che avevano cominciato a lavorare con i bambini per insegnargli a leggere e a scrivere: facevano scuola sotto gli alberi, all’ ombra. L’ idea era costruire una casa della comunità. Attualmente la scuola è frequentata da poco più di cento bambini. Ma  con il passare degli anni una struttura non bastava più, soprattutto con l’ arrivo di un numero consistente di profughi in fuga dal Sud Sudan, in quanto era in corso un’ atroce guerra civile, prima il Sud cattolico si era staccato dal Nord musulmano. Guerra civile che continua anche se dallo scorso Natale c’è un armistizio, una sorta di “cessate il fuoco”. La Comunità ha cercato prima di aiutarli a fare la pace attraverso vari incontri e poi, quando i nostri amici del Nord dell’ Uganda ci hanno detto che erano arrivati i profughi, abbiamo chiesto al vescovo un terreno per costruirvi una scuola elementare che fosse riconosciuta dallo Stato. Abbiamo costruito una parte di scuola  nel campo di Nyumanzi, le prime otto aule. Ancora poche. Grazie alla Fondazione Francesca Pecorari abbiamo realizzato le altre quattro. Il 5 febbraio, data di inizio del loro anno scolastico, le abbiamo inaugurate”.

CONOSCIAMO MEGLIO LA COMUNITÀ DI SANT’ EGIDIO NELLE PAROLE DEL SUO FONDATORE.

La Comunità di Sant’ Egidio è un movimento laicale di respiro internazionale che poggia su valori cristiani e cattolici e che fa della preghiera, della solidarietà, dell’ecumenismo e del dialogo i suoi ideali fondanti e al tempo stesso gli obiettivi, dalla nostra Fondazione condivisi. Nasce per volontà del professor Andrea Riccardi nel 1968, allora giovane studente liceale, all’ indomani del Concilio Vaticano II. Era un clima utopico, anche contraddittorio, però caratterizzato dall’ audacia che il mondo si potesse cambiare. Riportiamo uno stralcio della sua profonda intervista per Vatican News:  “Oggi lo scenario è diverso, globale, incute una grande paura: il terrorismo, i migranti… Sant’ Egidio dice che non si deve avere paura, che non si devono costruire muri ma ponti. Facendo qualcosa per gli altri si può fare qualcosa per questo mondo. La fede che cresce nell’ ascolto della parola di Dio fa lievitare la speranza. La parola chiave è ‘amicizia’, nel senso di parlare con i poveri, integrarli nella comunità sociale. I bambini del Cinodromo vivevano al margine, non andavano a scuola. I bambini restano nella Comunità di Sant’ Egidio attraverso la scuola della pace in tutto il mondo. Il  punto su cui riflettere è che il povero non è da assistere ma da integrare. E l’ amicizia è il primo passo, da sempre, per l’ inclusione sociale, per rammendare il tessuto sfilacciato del mondo e delle nostre città”.

Una strada ancora lunga, quella di Sant’ Egidio. Il fatto di essere ancora qui a raccontarla con i suoi rappresentanti ne dimostra la serietà di intenti. Fondamentale è continuare a credere che il mondo si possa cambiare, cercando ciò che unisce e lasciando da parte ciò che divide. E le differenze non possono dividere. Lunga vita a Sant’ Egidio!

Maggio 9, 2018 0 comments
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Speciale

BUON COMPLEANNO FRANCESCA!

by Redazione Maggio 7, 2018
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Grande affluenza di pubblico  sabato scorso per i festeggiamenti del Compleanno di Francesca 2018, l’evento biennale di solidarietà che fa il punto della situazione delle attività della Fondazione nel mondo e che ha coinvolto, enti, istituzioni, vignaioli e cittadini del territorio che con la semplice presenza hanno voluto dimostrare vicinanza alla famiglia Pecorari. “È una giornata molto sentita dalla gente del luogo. Di fronte a certe tragedie c’è sempre una componente di immedesimazione, in particolare qui a San Lorenzo Isontino quando una famiglia con una certa sensibilità al sociale è colpita da una perdita fa una donazione alla Onlus”, racconta il sindaco Bruno Razza. Giornata che ha saputo amalgamare una prima parte istituzionale con una seconda legata al mondo enoico: nove i produttori che hanno partecipato con il loro vino del cuore e che andremo a conoscere meglio nei prossimi servizi. Vini accompagnati dalle specialità territoriali: i prodotti caseari di Li.Re.Ste di Merlana (UD), gli asparagi declinati di Biasizza, a Moraro (GO), il prosciutto crudo con note affumicate di D’Osvaldo, a Cormons (UD). Il ricavato della giornata contribuisce a supportare le attività della Fondazione. Ma prima di entrare nel vivo di questa festa speciale culminata con una cena all’insegna della tradizione carsica alla Lokanda Devetak 1870, a Savogna d’ Isonzo, a poca distanza dall’ ex confine con la Slovenia, un sincero GRAZIE a tutto il team di Lis Neris, che ha dedicato tempo, energia ed entusiasmo alla riuscita di  questo evento. E non sono dettagli.

Compleanno che nella parte istituzionale ha visto gli interventi della Comunità di Sant’ Egidio, coordinatrice delle iniziative in Africa, che quest’anno compie 50 anni, di New Humanity/Pime, braccio operativo in Myanmar e, per volgere uno sguardo all’ esterno, di Diamo un Taglio alla Sete con interessanti testimonianze sempre dall’ Africa. A chiudere gli interventi il Coro Polifonico di Ruda, che tiene concerti in tutto il mondo, con le sue magie vocali. Realtà che impareremo a conoscere singolarmente qui sul blog attraverso il loro operato.

                                 

“L’idea di chiamare un vino Fatto in Paradiso fu di Francesca nella primavera del 1996: era giovanissima e un po’ trasgressiva, come la maggior parte dei giovani della sua età e come l’etichetta che disegnò, oggi riprodotta anche sulla spilla simbolo del nostro percorso umanitario. L’idea, invece, di produrre un vino che contribuisca alle finalità che si è data la Fondazione di Francesca è nostra”, racconta Alvaro Pecorari, papà di Francesca e presidente della Onlus che porta il suo nome. La prima annata di Fatto in Paradiso è il 2003. Un vino dal nome curioso. “È un omaggio alla canzone Made in Heaven dei Queen, di cui lei era grande estimatrice. Si rivelò profetico”.  E aggiunge: “Il vino è il nostro gesto di gratitudine a fronte della donazione, che è interamente devoluta alla Fondazione. Questa è una serietà fondamentale affinché le cose durino nel tempo. Mia figlia è stata coinvolta prestissimo nel lavoro della famiglia. Ora siamo coinvolti noi in quelli che erano i suoi progetti, le sue speranze ed i suoi sogni. Un figlio è per sempre”.

2003-2018, sedici anni di impegno umanitario. Tanta è la strada percorsa da quando un piccolo nucleo di persone, per cui la parola ‘amicizia’ ha un significato autentico, su impulso della famiglia decide di non restare con le mani in mano e convertire il dolore in un’ azione di solidarietà senza confini. “Noi friulani siamo abituati a fare”, continua Pecorari. “Ci è sembrato il modo migliore per provare a reagire alla sofferenza. Passo dopo passo questo percorso si è arricchito di incontri che a loro volta hanno arricchito noi come persone. Insisto sulla parola ‘serietà’, testimoniata dal fatto che siamo ancora qui a crederci dopo sedici anni, con la stessa intensità di quando siamo partiti. Prima sono nate le iniziative di coinvolgimento e poi le attività vere e proprie a sostegno dell’infanzia nel mondo con la costruzione e la ristrutturazione di scuole e asili. Myanmar, India del sud e Africa, dove abbiamo rivolto la nostra prima attenzione, non sono Paesi facili dal punto di vista geopolitico, sociale ed economico. Eppure anche in mezzo alle difficoltà e ai rallentamenti siamo riusciti a superare i momenti più bui. New Humanity ci ha preso per mano. Ricordo uno dei capi storici,  il missionario laico del Pime Fratel Fabio Mussi, che ci ha guidato in un settore in cui bisogna prestare molta attenzione. Mi disse che c’è molta gente che con una piccola donazione crede di poter staccare un biglietto per il paradiso e mettersi a posto con la coscienza. Noi ci muoviamo su altri valori, puntiamo ad avere un rapporto più lungo con le persone: si deve credere in quello che si fa nel senso della concretezza e non dell’ esteriorità”. Conclude il suo intervento: “Vedere le fotografie di ieri delle nostre scuole a confronto con quelle di oggi, strutture ancora perfettamente conservate in Paesi con problemi climatici e ambientali notevoli, mi fa riflettere su quanto importanti siano la conservazione e la cura affinché le cose funzionino”.

             

Al centro dell’intervento di Alvaro Pecorari l’istruzione scolastica come vero e proprio diritto alla vita e strumento fra i più efficaci per rompere il ciclo di povertà. Un diritto ancora negato a troppi bambini nel mondo, sottratti alle occupazioni tipiche dell’infanzia come la scuola appunto, il gioco, la famiglia. Sono 123 milioni i bambini  (l’11,5%) che non vanno a scuola secondo i dati Unicef del 2017, di cui il 40% vive nei Paesi meno sviluppati e il 20% in zone di conflitto. Un leggero miglioramento rispetto al 2007, quando erano 135 milioni (12,8%).  Ma la strada da percorrere è ancora tanta e tutta in salita. Ad aggravare la situazione i conflitti come quello in Siria, che rendono impossibile il diritto all’istruzione e bloccano in partenza la buona volontà d chi vorrebbe fare. Il 75% dei bambini in età da scuola primaria e secondaria inferiore che non va a scuola si trova in Africa subsahariana e in Asia del Sud. Istruzione che è fondamentale per risparmiare i minori da lavori faticosi, se non rischiosi, in molti casi per toglierli dalla strada, dove vivono di accattonaggio e piccoli crimini per cui sono poi severamente puniti, per non parlare dell’ abominio del traffico degli organi e della prostituzione, argomento che affronteremo in uno dei prossimi articoli con la scrittrice Mary Lynn Bracht. Con la speranza che il blog diventi un aggregatore sociale: di emozioni, sogni, progetti.

Ecco le nostre iniziative, nove ad oggi in tre Paesi:

MYANMAR

2005  Scuola nel villaggio di War Kra

2007 Scuola nel villaggio di Thein In

2009 Scuola nel villaggio di Lu Yo Taung

2012-2013 Ristrutturazione scuola primaria di Thar Yet Pin

2016-2017 Duea sili nei villaggi di Naung Choo e Naung Leng

INDIA

2008 Scuola dormitorio nel villaggio di Yerrupalem

2012 Scuola nel villaggio di Danavaigudem

UGANDA

2011-2012 Scuola della Pace di Adjumani

2016-2017 Ampliamento Scuola della Pace nel campo profughi Nyumanzi Settlement

PERFINO ‘LUI’ CON LA SPILLA SIMBOLO DELLA ONLUS

 

Maggio 7, 2018 0 comments
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Speciale

DAL FRIULI ALL’ ASIA VINI CON L’ ANIMA

by Redazione Maggio 3, 2018
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Ciao, mi chiamo Francesca e sono una giornalista. Da oggi mi occupo del blog della Fondazione Francesca Pecorari. Oggi, 3 maggio, non è una data a caso ma il compleanno di Francesca, quella vera, cui è intitolata la Onlus. Per me è una sfida stimolante e un onore parlare di una ragazza speciale che ancora vive, e lo fa grazie ai tanti progetti umanitari che hanno preso forma diventando sostanza per volere del suo papà, Alvaro Pecorari.

Parleremo delle iniziative seguite dalla fondazione in giro per il mondo, del nostro vino Fatto in Paradiso, un vino che era già nella mente e nel cuore di Francesca e che ora ha messo le ali, quelle della solidarietà, per supportare le varie attività della Onlus. Proveremo anche a creare collegamenti con altre associazioni che poggiano su valori e obiettivi condivisi, perché è bello volgere lo sguardo fuori, è bello darsi una mano. Le assenze alle volte sono presenze ancora più grandi. E non dimentichiamoci che il sorriso di un bambino è un dovere di tutti noi come essere umani.

Ripropongo qui sotto il mio articolo uscito sul settimanale Famiglia Cristiana (San Paolo Edizioni), per cui lavoro. Sperando di farvi cosa gradita. Buona lettura!

  Famiglia Cristiana n° 39 del 24/09/2017 – Volontariato

DAL FRIULI ALL’ ASIA VINI CON L’ ANIMA

LA FONDAZIONE È NATA PER VOLONTÀ DELLA FAMIGLIA DI VITICOLTORI, IN MEMORIA DELLA FIGLIA SCOMPARSA NEL 2002. SOSTIENE SCUOLE E ASILI IN MYANMAR, INDIA E UGANDA  

(di Francesca Fiocchi)

È un sole freddo nel bicchiere quello di Alvaro Pecorari. I suoi in Friuli (a San Lorenzo Isontino, in provincia di Gorizia) sono grandi vini, con un cuore e un’anima, ma uno in particolare, “Fatto in Paradiso”, gioca un campionato speciale, quello della solidarietà. È il 2003 quando nasce la Fondazione Francesca Pecorari Onlus, con l’aiuto di alcuni amici di famiglia, dedicata alla figlia Francesca, scomparsa nel 2002 in un incidente stradale. A oggi sono state realizzate quattro scuole più due asili in Myanmar, due in India e una in Uganda, la “Scuola della Pace”, che offre istruzione elementare ai tanti bambini sudanesi rifugiati.

“Noi arriviamo fino a un certo punto”, spiega Alvaro Pecorari, “poi abbiamo bisogno di un braccio operativo. In Myanmar è New Humanity, un’organizzazione laica fondata dal Pime. In India ci sono le Missionarie dell’ Immacolata e un vescovo che è diventato nostro amico ed è anche venuto a trovarci in Friuli. Invece in Uganda è la Comunità di Sant’ Egidio, con cui siamo entrati in contatto grazie a “Wine for Life”, l’iniziativa che coinvolge i produttori vinicoli per aiutare soprattutto in Mozambico chi è colpito dall’ Aids. Ci siamo capiti subito e siamo passati su un filone Onlus: la prima scuola che abbiamo creato dà un futuro ai cosiddetti ‘bambini che non esistono’, quelli senza documenti alla nascita”.

Il vino è la merce di scambio: tre “magnum” di vino bianco firmato Lis Neris a fronte di una offerta minima di 150 euro, con cui vengono finanziate le attività umanitarie della fondazione. “Le nostre erano vacanze natalizie”, continua Pecorari. “Francesca sceglieva sempre i Paesi poveri: l’ultimo di questi viaggi insieme è stato nel Nord della Thailandia. Qui esiste un mercato dove le famiglie mettono i figli in ‘eccesso’ a disposizione di compratori occidentali: i maschi sono direzionati nell’ ambito della guerriglia interna, le bambine sono coinvolte nei giri della prostituzione, quando non vanno ad alimentare il mercato nero degli organi”. E aggiunge: “È sempre difficile parlare dei figli perché sembra di volerli incensare, ma Francesca era una sognatrice e vedeva lontano. Aiutare un bambino per noi non significa staccare un biglietto per il paradiso. Nostra figlia rivive in tutto quello che facciamo: questa è la sua nuova casa. Tradire il progetto significherebbe tradire lei”.

 

 

Maggio 3, 2018 0 comments
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Festa di Compleanno

Festa di Compleanno 2018

by Redazione Aprile 23, 2018
written by Redazione

Villa Lis Neris – Sabato 5 maggio ore 15.00

Festa di Compleanno è l’evento organizzato da Lis Neris per promuovere le attività umanitarie della Fondazione Francesca Pecorari Onlus (www.francy.org). Questo viaggio di solidarietà che dura da quindici anni ha portato il sorriso sui volti di tanti bambini che vivono situazioni di difficoltà in varie parti nel mondo. Il costante sostegno all’istruzione scolastica ha contribuito alla realizzazione di scuole e asili in Myanmar, India e Uganda del Nord.

Un incontro fortemente voluto dalla famiglia di Francesca per raccontare e condividere i risultati e le nuove iniziative della Fondazione. Un modo per festeggiare in maniera speciale il compleanno di Francesca e in particolare per toccare con mano le realtà dei Paesi in cui opera la Onlus e lo sviluppo dei progetti.

A presto
Lis Neris Events

Programma Sabato 5 maggio
Ore 15.00 presentazione delle attività della Fondazione con interventi di:

– Francesca Benigno per New Humanity/PIME storico braccio operativo in Myanmar;

– Rinaldo Piazzoni per Comunità di Sant’Egidio coordinatrice delle iniziative in Africa;

– Diamo un taglio alla sete, testimonianze dall’Africa.

Al termine, esibizione del Coro Polifonico di Ruda.

Dalle ore 17.00 alle ore 19.30 apertura banchi di degustazione con produttori di prestigio che presenteranno personalmente i propri vini e, tra questi, il loro “vino del cuore”: una produzione che si è distinta per la funzione sociale e umanitaria o nata per ricordare un familiare.

Dal Piemonte: Domenico Clerico, Matteo Correggia.
Dal Veneto: Allegrini, Monte Faustino.
Dall’Alto Adige: Arunda.
Dal Friuli: Livio Felluga, Venica&Venica, Villa Russiz.
Dalla Toscana: Consorzio della Vernaccia di San Gimignano.

Accompagnati da specialità alimentari friulane in collaborazione con Campagna Amica: Li.Re.Ste – prodotti caseari – Merlana (Ud), Blasizza – Asparagi – Moraro (Go), D’Osvaldo – prosciutto – Cormons (Go).

Per informazioni: Lis Neris – tel. 0481 80105 – lisneris@lisneris.it

Le offerte raccolte durante l’evento saranno interamente devolute alla Fondazione Francesca Pecorari Onlus.

Considerati i posti limitati è richiesta la conferma della presenza: Lis Neris – tel 0481 80105 – lisneris@lisneris.it

Aprile 23, 2018 0 comments
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Africa - UgandaProgetti

Dall’Uganda, buone notizie!

by Redazione Marzo 29, 2018
written by Redazione

Abbiamo lasciato i bambini della Scuola della Pace alle prese con gli esami e… ci congratuliamo con loro per gli ottimi risultati!

Per quanto riguarda l’istruzione e la sua accessibilità, rimane purtroppo una distinzione di genere, a sfavore delle bambine ma soprattutto delle ragazze che frequentano le classi più alte: un progetto con l’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo (AICS) sta andando proprio in questa direzione.  Anche sul campo, si lavora sodo: grazie alla Fondazione Francesca Pecorari, sono in fase di realizzazione due nuove aule complete di arredi e le recinzioni con rispettivi cancelli.

La Scuola della Pace può svilupparsi e crescere ancora, garantendo ad un numero maggiore di studenti una qualità nell’insegnamento più alta.

 

Marzo 29, 2018 0 comments
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MyanmarProgetti

Ultime notizie dal Myanmar

by Redazione Dicembre 16, 2017
written by Redazione

Un grande ciao dai bambini dell’asilo di Naung Cho inaugurato da poco (Novembre 2017)

“Il progetto va bene, abbiamo deciso nei prossimi mesi di investire un po’ di più sulla formazione delle 2 insegnanti perché possa ancora migliorare la qualità dell’insegnamento.” queste le parole di Francesca Benigno responsabile di New Humanity da poco rientrata da un viaggio in Myamnar.

E le buone notizie non finiscono qui, ci sono infatti altri villaggi che hanno avanzato richieste per la costruzione di asili e lo staff New Humanity in Myanmar le sta valutando.

Dicembre 16, 2017 0 comments
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